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Messaggio  kevin Ven Gen 29, 2010 5:11 pm

Il motore di ricerca vende nel nostro Paese pubblicità per 5-600 milioni di euro
Google, il grande editore che non c’è
Fattura in Italia come uno dei gruppi maggiori e sfugge alla legge Gasparri. Ma l’Agcom gli farà i conti in tasca


C’ è un’azienda che vende pubblicità in Italia per 5-600 milioni di euro, è in rapida crescita nonostante la recessione e però non figura in nessun rapporto ufficiale. C’è, insomma, un soggetto che fattura inserzioni per una cifra pari o superiore a quelle che, sul mercato domestico, realizzano le concessionarie degli editori più forti, da Rcs Media Group al Gruppo Espresso fino alla Mondadori, ma non viene considerato nemmeno in quel calderone che è il Sistema integrato delle comunicazioni censito dall’Agcom, l’Autorità di garanzia delle comunicazioni. Lo si direbbe un editore misterioso se non fosse comico definire in tal modo un’azienda della notorietà di Google.

Ora sarà proprio l’Autorità presieduta da Corrado Calabrò a prendere le misure italiane di Google. L’iniziativa appare destinata ad avere riflessi che vanno ben al di là delle statistiche. Il Sistema integrato delle comunicazioni, altrimenti detto Sic, è stato prefigurato dalla legge Gasparri del 2004 per delimitare un mercato mediatico nazionale abbastanza grande da permettere anche al gruppo più rilevante, la Fininvest, di rimanere al di sotto della soglia antitrust del 20% del fatturato. A tal fine sono state incluse nel Sic perfino le promozioni nei supermercati e il direct marketing. Ma si è dimenticata la pubblicità online per parole chiave. Nella relazione annuale, il presidente Calabrò cita tutti i gruppi più importanti e pure quelli di medio rango, ma non il grande motore di ricerca che si aggiudica la quasi totalità della pubblicità connessa alla funzione search. Eppure, nella parte preliminare che tratta la dinamica dei settori, è la stessa Agcom a dare conto, rielaborando i dati Nielsen, del clamoroso incremento della raccolta pubblicitaria su Internet, quasi il 100% nel 2008.

In un mondo ideale, bisognerebbe sfrondare il Sic dai settori impropri e inserirvi i motori di ricerca, editori del nuovo millennio. Nell’Italia del 2010, si può almeno dare attuazione alla legge Gasparri laddove prevede che vengano identificati i settori rilevanti all’interno del Sic, così da verificare il peso specifico delle imprese più grandi ed eventualmente affrontare le posizioni dominanti con la regolazione ex ante, di competenza dell’Agcom, e con l’intervento ex post contro gli abusi, di competenza dell’Antitrust. Ebbene, da ottobre, in silenzio, l’Agcom ha aperto il procedimento di revisione del Sic. Ma la strada è in salita perché Google non fattura quanto ricava in Italia dall’Italia, ma da Dublino. Ed è dunque un problema riconciliare le rilevazioni di mercato, della Nielsen o di altri, con le evidenze ufficiali dei bilanci.

La filiale italiana, Google Italy, dichiara ricavi inferiori ai 20 milioni per lo più derivanti da servizi resi a Google Ireland che, per conto del quartier generale di Mountain View, coordina le attività in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. La Guardia di Finanza di Milano aveva ipotizzato l’evasione fiscale partendo da indagini secondo le quali Google Italy rappresenterebbe una stabile organizzazione della multinazionale in Italia e non solo un punto di appoggio. Il pm Carlo Nocerino non ha condiviso l’impostazione, e ha chiesto l’archiviazione. Si attende, dal 12 febbraio 2009, la decisione del giudice per le indagini preliminari. L’Agenzia delle Entrate non si è ancora mossa, ma ha ancora tempo. È chiaro che, se il fisco riuscisse a disegnare il profilo italiano di Google, spianerebbe la strada anche all’Agcom: non solo le consentirebbe una più moderna definizione del pur discutibile Sic, ma la costringerebbe a esaminare in concreto il ruolo monopolistico del primo motore di ricerca, infrastruttura intelligente cresciuta dentro l’infrastruttura delle telecomunicazioni.

Regolazione antimonopolistica e contrasto all’evasione fiscale si possono sostenere a vicenda. Quanto meno nel far emergere i paradossi. L’Irlanda fa parte dell’Unione europea. Dovrebbe condividerne la cultura antitrust. Ebbene, se Google Ireland, alla quale fanno capo tutte le Google dei diversi Paesi europei, mediorientali e nordafricani, fosse davvero un’azienda «solo» irlandese, come la metterebbe l’Antitrust irlandese con un colosso da 6-7 miliardi di euro di fatturato su un mercatino dei media qual è il suo, che può contare su una popolazione di 4 milioni di anime? In Italia sforerebbe perfino i comodi limiti del Sic.

La domanda, naturalmente, era retorica. Il governo di Dublino potrebbe agevolmente dimostrare che il fatturato davvero irlandese rientra nella norma. Ma allora come ci si regola con tutto il resto? In verità, all’Irlanda interessa solo avere i 1500 posti di lavoro che Google vi ha collocato perché nell’isola non si pubblicano i bilanci delle holding e, giocando con le royalty, non si pagano nemmeno le imposte. Pazienza se questo dumping fiscale e regolatorio inquina il resto dell’Unione europea. Ma non tutto ormai fila liscio. La Turchia, su un caso analogo a quello milanese, ha comminato a Google una multa di 32 milioni di euro. La Francia si accinge a varare una legge che tassa alla fonte, con modalità che potrebbero fare scuola, le attività di Google realizzate a partire dal suolo francese ancorché, come quelle italiane e turche, siano astutamente fatturate online da Dublino. In sede Ocse, dove si definiscono i rapporti internazionali sul piano fiscale, il governo italiano non sarebbe solo a chiedere l’aggiornamento del concetto di stabile organizzazione così da ricomprendere le attività online delle multinazionali.

Nell’audizione di martedì 26 gennaio in Senato, il presidente dell’Agcom ha posto la questione della regolazione internazionale della Rete, da farsi addirittura in sede Onu. È questa la vera sfida per il governo, e non, come ha osservato lo stesso Calabrò, l’attribuzione al governo del potere di autorizzare la diffusione delle immagini sul web, pallida imitazione della censura cinese.

Sul terreno della fiscalità e della regolazione globale si profila il conflitto con l’America di Barack Obama. La Casa Bianca è schierata senza se e senza ma a difesa degli interessi dei colossi dell’online. Tra i primi atti di Obama c’è la sostituzione del presidente della Fcc, l’Agcom americana, con Julius Genachowski, un partigiano della net neutrality, ostile a qualsiasi discriminazione nella veicolazione dei contenuti sulla banda larga da parte delle compagnie di telecomunicazioni che pure vi dovrebbero investire montagne di denaro. L’Europa, invece, si attesta su una posizione più articolata: considera un diritto del cittadino il pieno accesso alla Rete, ma consente agli operatori di telecomunicazioni di veicolare contenuti privilegiati, dai quali ricavare uno specifico profitto, previa informazione all’utente sulle limitazioni che questo comporta nel suo contratto. In apparenza, sembra la rincorsa al più uno nella gara della libertà. In realtà, è il conflitto tra due industrie: i motori di ricerca, Google in testa, contro le telecomunicazioni e la loro filiera industriale, la prima radicata nella California obamiana, l’altra nel resto del mondo, e soprattutto in Europa. Ed è singolare che, siccome hanno una patria, telecomunicazioni ed editoria subiscano una stringente regolazione, mentre Google fa il furbetto a Dublino. E ora sfrutta i profitti della pubblicità comodamente deregolata quale trampolino di lancio per entrare nella telefonia mobile con Adroid e addirittura nel trading dell’energia elettrica.
articolo di:
Massimo Mucchetti
28 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA fonte corrire.it
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Messaggio  Control Dom Gen 31, 2010 8:55 pm

E si avevo gia letto un articolo simile in giro.... che dire è pure vero che ancora non esiste una normativa precisa che colpevolizzi l'operato di Google almeno nel paese dei Balocchi che è litalia. Quindi che dire....... voi paghereste per aver sovlto una qualche attività che non prevede ancora alcun tipo di tassazione. Quindi non prendiamocela con Google ma con il nostro Paese di ca..o.
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